Il terremoto secondo il geologo Antonio Moretti

da ilCapoluogo.it

Il terremoto che ha devastato L’Aquila il 6 aprile 2009, segna uno spartiacque sociale, culturale, politico e giuridico tra il passato e il futuro nella conoscenza della previsione e della prevenzione del rischio sismico in Italia e nel mondo. “Non stiamo partendo in braghe di tela e non dobbiamo imparare da nessuno – fa notare il geologo Antonio Moretti dell’Universita’ di L’Aquila – c’e’ solo bisogno della volonta’ politica di trasformare le conoscenze scientifiche in applicazioni pratiche. Ricordo a questo proposito che il finanziamento medio della ricerca geologica-sismologica in Italia e’ stato di qualche miliardo di lira all’anno (il valore di un paio di appartamenti in centro a Roma), contro i 60.000 miliardi di danni del terremoto dell’Irpinia”.

Gli scienziati vanno ascoltati. Non ci sono più scuse di carattere politico, culturale e finanziario: le Grandi opere in cantiere devono contemplare la totale messa in sicurezza delle nostre citta’, dei nostri paesi e dei nostri villaggi.
I cittadini possono contare su una rete di monitoraggio del territorio senza precedenti nella storia del nostro Paese grazie a scienziati e istituzioni di primissimo livello internazionale. I politici e gli amministratori pubblici, da parte loro, farebbero bene ad aggiornarsi, per evitare tragedie, magre figure e inevitabili fallimenti, approntando protocolli d’intervento adeguati ed aggiornati.

La comunita’ scientifica italiana, da parte sua, ha il dovere di avvicinare il grande pubblico alla conoscenza diffusa dei fenomeni naturali, con competenza, dedizione e comprensibilita’. L’Abruzzo (il “tetto” della dorsale appenninica) affonda le sue “radici” in una pericolosissima naturale “polveriera”. Viviamo su un’autentica “santabarbara” geologica, pronta a liberare, sotto i nostri piedi, energie dell’ordine delle decine di megatoni.

Ma la disinformazione spettacolare che a volte dissemina e fomenta errori nella popolazione, può essere anche più perniciosa. Ad esempio, il radon, e’ da molti anni considerato uno dei più promettenti “fenomeni precursori” a breve termine di un terremoto. Ma ora pare sia diventato sui mass-media il fantastico, proverbiale, satirico e leggendario “sensore” profetico dell’apocalisse sismica. Il radon e’ un gas radioattivo: si genera dai minerali thorio-uraniferi di cui sono molto spesso ricche le rocce vulcaniche, sia in profondita’ sia in superficie. Gli scienziati sanno che in presenza di una faglia attiva, ossia di una frattura in movimento che si propaga dalla crosta profonda, ricca di rocce magmatiche, fino in superficie, il radon può sfuggire ed essere facilmente misurato con strumenti appositi. “Poiché la sua vita e’ molto breve (pochi giorni) – spiega il ricercatore Antonio Moretti – la risalita deve essere molto veloce, tanto più intensa e veloce quanto maggiore e’ lo stato di stress della faglia”. In occasione di grandi terremoti, e’ stato più volte verificato l’aumento di emissione di radon (fino a 10 volte) lungo le faglie attive, con un tempo di latenza (giorni-mesi-anni) tanto maggiore quanto più grande sara’ l’evento sismico. “Il problema e’ che anche molte rocce di superficie sono ricche di thorio ed uranio (e’ il caso di quasi tutti i suoli vulcanici laziali ed abruzzesi), quindi occorre prima individuare le faglie ed i siti idonei per il monitoraggio, essere certi dell’origine profonda dei fluidi, e quindi posizionare le centraline di rilevamento, meglio se in pozzo. Spesso sono molto ricche di radon profondo anche le sorgenti termali. Misurare il radon casualmente con strumentazioni di fantasia – fa notare Moretti – come e’ stato fatto da certi personaggi che sono convinti di essere scienziati senza avere nessun titolo, e’ non solo inutile, ma anche offensivo per quanti che, come noi, stanno lavorando da decenni sull’argomento”.

Il geologo Antonio Moretti del Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Universita’ di L’Aquila, conosce molto bene il nostro territorio e la sismicita’ dell’Abruzzo. “Sono un ricercatore dell’Universita’ e – rivela Moretti – prima sono stato per molti anni ricercatore a contratto del GNDT (Gruppo Nazionale Difesa dai Terremoti); collaboro anche con l’INGV di Roma. Non stiamo scoprendo niente di nuovo, le conoscenze che abbiamo sono il frutto del lavoro di centinaia di ricercatori per decine di anni. L’Italia possiede, assieme alla Cina, il catalogo sismico più lungo e completo del mondo, e la sua geologia e’ studiata da secoli, proprio dagli scienziati che hanno scritto la storia delle Scienze della Terra. Le prime stazioni sismiche al mondo sono state installate in Italia dai primi anni del secolo scorso, ed attualmente l’INGV possiede una rete sismica di altissimo livello tecnico, dal 2005 probabilmente la migliore del mondo, America compresa”.

La spiegazione generale su che cosa e’ accaduto lo scorso 6 aprile a L’Aquila, e’ chiara, evidente e distinta. Siamo in presenza di un evento naturale molto importante e significativo. Le mappe Ingv riportano gli inviluppi delle isosiste, le aree di danneggiamento simile, di più terremoti sovrapposti. “Vedete i pallini verdi, gialli, rossi ed azzurri? Sono i piani quotati – spiega il geologo Moretti – cioe’ il dato vero di cui disponiamo, preso dai cataloghi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ed elaborati dal ricercatore dell’Universita’ di Potenza, Paolo Harabaglia. I valori scelti vanno dal VII grado Mercalli (verdi, per forti lesioni alle abitazioni ma nessun crollo) ad azzurri (X-XI Mercalli, distruzione di oltre il 50% degli edifici)”. La prima figura e’ relativa a tutti i grandi terremoti appenninici dal 1328 al 1980; la seconda al periodo sismico 1688-1732 e la terza ai terremoti sub-crostali che hanno colpito i versanti adriatici dell’Abruzzo tra il 1881-1882 (Chieti-Lanciano) ed il 1850 (Montereale – Arischia – Teramo). Nella prima mappa appare tutta la sismicita’ storica dell’Appennino degli ultimi 600 anni. “I terremoti si distribuiscono seguendo la cresta dell’Appennino, tranne quello di Avezzano (1915) che e’ più arretrato verso il Lazio. In realta’ si tratta di una struttura differente – sostiene Moretti – come quelle di Sora o di dei monti Carseolani, che si attiva circa ogni 1000 anni…Gli altri seguono le grandi vallate interne della catena ed infatti sono collegate alle grandi rotture (faglie) che generano le vallate stesse (graben)”.

I sismologi hanno scoperto che questi terremoti, oltre che di medio-alta energia (magnitudo 6-7° Richter) sono localizzati a basse profondita’ nella crosta superiore (10-12 km), quindi vengono risentiti in maniera distruttiva da popolazioni, abitazioni e citta’. “Gia’ a colpo d’occhio, l’asse appenninico e’ quello con il maggiore numero di terremoti con alta energia. Lo stesso andamento e’ riportato nella mappa pubblicata nel 2004 dall’Ingv, dove L’Aquila e’ proprio nel mezzo dell’area di massima pericolosita’”. In maggiore dettaglio, si nota che l’attivita’ sismica non e’ uniforme nel tempo, “ma – fa notare Moretti – alterna periodi parossistici (1688-1732, seconda mappa) con altri di apparente quiete o “ricarica”. Al periodo 1688-1732 appartengono i due famosi terremoti del 1703 e quello di Sulmona del 1706, erroneamente considerati “gemelli” di quello del 6 aprile 2009”. In effetti, mappa in vista, si nota un piccolo buco proprio nella conca aquilana. “Perché la sorgente del 1703 – rivela Moretti – si e’ fermata a Pizzoli-Arischia, e quella del 1706 riparte da Bussi verso la valle Peligna. Quindi, nel ‘700 e nei secoli successivi, il segmento intermedio tra L’Aquila, Paganica e Barisciano – prosegue lo scienziato – e’ rimasto fermo, continuando ad accumulare energia, e non era improbabile che proprio questo dovesse essere il primo a rompersi”.

Quando si attiva una faglia sismogenetica di grandi dimensioni, il movimento che ne deriva e’ di qualche metro (“circa 2 nel nostro caso” – spiega Moretti) lungo una superficie di qualche decina di chilometri. “Come nel caso di uno strappo nei pantaloni, la rottura aumenta lo sforzo nei segmenti vicini, quindi e’ prevedibile che in un prossimo futuro (anni, decenni) si attivino anche le strutture a Nord (Amatrice, Montereale) ed a Sud (Valle Peligna, Sannio, Beneventano, Irpinia, ecc.) fino a “scaricare” l’energia accumulata e ricominciare il ciclo. Se poi consideriamo un periodo abbastanza lungo questa, non e’ più una probabilita’ ma una certezza geologica”.

Anche nel Teramano i nostri politici non sono certo autorizzati a dormire sonni tranquilli, in attesa dell’inevitabile tragedia storica. “Sul versante esterno dell’Appennino – spiega Moretti – vi sono altre sorgenti sismiche, più profonde (30-40 km, ossia sub-crostali per non confonderle con la sismicita’ di subduzione che raggiunge i 600-700 km) e legate al piegamento ed all’affondamento della crosta adriatica sotto l’Appennino. A questo tipo appartengono i terremoti del 1881-2 e 1950, ed anche il recentissimo delle Marche, di Ancona, quello di Reggio Emilia del settembre 2009”. Questi ultimi, anche se possono essere di magnitudo paragonabile ai primi, essendo più profondi distribuiscono l’energia su di un’area più vasta e quindi producono danni in apparenza meno violenti. “Sul versante esterno vi sono grossi spessori di argille e di sedimenti “soffici” che tendono a smorzare le onde. Dal punto di vista geodinamico, i due tipi di terremoti sono dovuti alla stessa causa: l’apertura ed espansione del mare Tirreno, l’avanzamento-rotazione della Penisola verso Est e la chiusura del mare Adriatico. Le relazioni dettagliate tra le deformazioni che caricano la catena sul margine adriatico e quelle dei graben appenninici che la scaricano, sono purtroppo ancora da studiare, e costituiscono una delle maggiori sfide che uniscono geologi, sismotettonici e sismologi”. Forse non tutti sanno che la “faglia del Monte Stabiata” e’ sorella di quelle di Pettino e di Paganica. Moretti presenta un paio di immagini dell’espressione superficiale della rottura di faglia. “Il sassone che vedete pesa parecchi quintali ed e’ stato spostato di circa 20 cm; nella stessa zona altri sassi sono stati sbalzati in aria e rovesciati”.

I geologi tendono spesso a familiarizzare con gli elementi strutturali, dandogli nomi locali, che in genere stanno ad indicare sia il tipo di elemento sia la localita’ dove si può vedere. “E’ il caso della faglia di Pettino – spiega Moretti –  così definita perché si vede bene al monte Pettino, ma anche perché, essendo facilmente raggiungibile dall’autostrada, e’ meta ogni anno delle escursioni degli studenti di geologia romani”. In realta’ le faglie superficiali sono semplicemente l’espressione di una rottura profonda, anch’essa chiamata tecnicamente “faglia”, che e’ la vera struttura sismo genetica, ossia che origina i terremoti.

Cosa vedono i geologi? “Noi possiamo vedere solo gli elementi di superficie e stiamo indagando per conoscerne la sorgente. Praticamente siamo nelle condizioni di un ingegnere strutturista che dovesse capire la causa di un danno alle fondamenta di un edificio andando a guardare solo i movimenti delle tegole del tetto”. In realta’ i geologi hanno anche altre informazioni che sui media possono causare confusione semantica. “Se guardiamo una carta geologica, vediamo tantissime righe rosse indicate come faglie di diverso tipo a seconda del loro movimento: normali, se un blocco si muove verso il basso; inverse, se verso l’alto; trascorrenti, se lo scorrimento e’ orizzontale. In realta’ quasi tutte le faglie indicate sulle carte geologiche sono oramai fossili, ferme da milioni di anni, e portate alla superficie dall’erosione. E’ proprio questa erosione che ci permette di studiare la superficie di una faglia che si trovava a molti chilometri di profondita’ e che in un passato lontanissimo ha generato la sua parte di terremoti. Possiamo così riconoscere le geometrie di movimento, la profondita’ e la temperatura in base ai minerali tipici (la paragenesi) riscontrabili sulla superficie. In alcuni casi, si sono potute riconoscere fasce di rocce fuse dal grande attrito generato dal terremoto, in altre faglie che si sono mosse praticamente senza attrito, come fossero lubrificate”. Le faglie interessanti sono quelle “attive” o recentissime (migliaia – decine di migliaia di anni), che per loro natura sono difficilissime da riconoscere, proprio perché non sono state ancora scoperte dall’erosione. “Tra gli indizi vari di movimenti recenti, ci sono piccole dislocazioni che attraversano suoli, sabbie e ghiaie molto superficiali, e vengono anch’esse chiamate faglie attive”. Quando poi un ricercatore e’ convinto che una faglia ci debba essere, ma non riesce a vedere le sue espressioni superficiali, che esista davvero o no, la chiama faglia cieca. “Quindi, quello che produce e rilascia l’energia sismica e’ il segmento profondo del terremoto, che può essere lungo molte decine o centinaia di km, il quale avvicinandosi in superficie si divide un molte superfici più o meno parallele con una struttura simile ai petali di un fiore (si parla appunto di struttura a fiore)”.

Durante un terremoto, non sempre si attivano contemporaneamente tutti gli elementi superficiali. “Anzi, spesso si muovono uno di seguito all’altro, dal basso verso l’alto, generando le famose repliche. La presenza di una faglia evidentemente attiva, quindi, non e’ di per sé pericolosa, ma e’ il segnale inequivocabile che sotto c’e’ una struttura pronta a muoversi”.

Come esempio di  faglia attiva, Moretti presenta l’immagine Google di quella del monte Stabiata. “La traccia della faglia e’ quella specie di “nastro” di rocce bianche, proprio perché si sono “scoperchiate” molto recentemente”. Come curiosita’, tra i metodi di indagine dei movimenti recenti, gli scienziati possono studiare i licheni o le piante pioniere che si insediano sul liscio. Allora perché costruire abitazioni in queste aree, non in grado di resistere ai violenti terremoti?

“In realta’ c’e’ un altro motivo per evitare di costruire su di una faglia attiva, ed e’ proprio quello che e’ successo a Pettino o ad Arischia: le faglie costituiscono delle superfici di rottura e di contatto tra rocce diverse, quindi molto spesso le onde sismiche, che si comportano esattamente come onde sonore, possono essere rifratte ed “incanalate” lungo la superficie, causando localmente scuotimenti anche dieci volte maggiori rispetto ad altre aree stabili; viceversa si possono avere, a poche centinaia di metri di distanza, zone di “ombra” dove le onde sono molto attenuate; generalmente questi fenomeni sono sistematici, si ripetono nel tempo, quindi e’ necessario tenere conto della memoria storica, come non hanno fatto a L’Aquila dopo la partenza dei Borboni”.

Se ne deduce la massima storica del momento: diamo ai geologi ciò che il terremoto di L’Aquila ha mostrato al mondo. Che e’ poi anche la richiesta decisa e fatta propria dall’Ordine regionale dei Geologi d’Abruzzo. Le scienze della Terra sono una materia che compete strettamente ai geologi e al mondo geologico: gli studi di microzonazione sismica, cioe’ dei fenomeni di interazione tra il terremoto e l’ambiente circostante, rappresentano il primo passo in ogni tipo di pianificazione territoriale fondata sulla responsabilita’ dei singoli operatori (politici ed amministratori compresi) e sulla convivenza con il rischio sismico. Quello che dice la scienza dovrebbe essere ab origine vincolante per legge.

Il terremoto di L’Aquila (capoluogo d’Abruzzo) delle ore 3:32 antimeridiane del 6 aprile 2009, era un 6.3° della scala Richter. I rapporti e le relazioni scientifiche internazionali dichiarano esplicitamente la magnitudo 6.3. A L’Aquila la cronaca ha registrato 307 morti, 1500 feriti, due milioni di metri cubi di macerie, 1.010 edifici pubblici danneggiati. Si tratta del quinto più catastrofico terremoto nella Storia dall’Unita’ d’Italia, dopo Messina 1908 (magnitudo 7.1° Richter), Avezzano 1915 (7.0°), Friuli 1976 (6.4°) e Irpinia 1980 (6.9°). Il sisma ha sconvolto la vita a oltre 73mila abitanti. A L’Aquila i danni reali, esclusa l’emergenza, le chiese e i monumenti, superano gli 11 miliardi di euro. Per il solo patrimonio artistico si calcola ce ne vorranno almeno 4 solo per il centro storico.

La Regione Abruzzo e’ oggi responsabile di fronte ai cittadini, dal punto di vista istituzionale e politico, sul fronte della divulgazione del rischio sismico e della fondazione di Servizio geologico-sismico che recepisca il quadro normativo europeo e nazionale nonché l’urgente necessita’ di redigere ed applicare a livello comunale gli studi di microzonazione sismica eseguiti su commissione della Protezione Civile. La comunita’ scientifica internazionale ci osserva.