Friuli: la ricostruzione dopo il sisma del 1976

Di Giusi Pitari (http://giusipitari.blogspot.com)

A pagina 14 del Corriere della Sera del 4 settembre, ho letto uno speciale “Visioni d’Italia” sul Friuli (ndr: articolo “Quella regione testarda che ha battuto le new town”, di Sergio Rizzo e Gianantonio Stella). Vengono ripercorse le vie della ricostruzione dopo il sisma del 1976. I “furlani” rifiutarono di lasciare i paesi distrutti, così come avevano resistito all’Austria nel 1848 e tutto e’ tornato com’era.
Italo Calvino scrisse a tal proposito “i responsabili politici lavorarono unitariamente mettendo insieme quei tesori di impegno, di finezza, di pazienza e moralita’ che occorrono per il successo di una battaglia politica perché questo era l’imperativo categorico dettato dalla loro coscienza”: senza badare, per una volta, alle tessere.
Si racconta poi della determinazione dei friulani: “Se siete inefficienti faremo noi anche gli architetti” tuonò il prete verso il sovrintendente. E infatti i cittadini si armarono di carriole, sì di carriole, e raccolsero in un campo le 7000 e passa pietre del loro Duomo, le numerarono, le conservarono.
Poi ancora le scelte politiche, difficili ma vincenti: prima il lavoro!!
E sì perché una catastrofe va vissuta, fino in fondo e poi pian piano si deve risalire la china. Coinvolgendo la popolazione, scegliendo, imparando dal passato.

Una ricostruzione per essere vera non deve essere regalata. Nulla deve essere regalato. Men che meno le new town.
Leggendo il resoconto, alcuni fatti mi sono apparsi più chiari, compresa la reazione della popolazione aquilana.
Spopolare per lunghi mesi la citta’, non solo ha permesso di concretizzare un progetto non condiviso e fare affari, ma ha avuto un effetto “psicologico” sulla popolazione che definirei devastante. Tanti, troppi, hanno atteso il rientro, senza davvero rendersi conto di essere stati deportati e hanno atteso di poter rientrare in una casa, quella che ogni giorno la TV inquadrava come un miracolo e che e’ giunta come un REGALO.
Il desiderio di essere protagonisti dei cittadini e’ stata tinto di colori partitici e nessuno degli amministratori si e’ sognato di cominciare ad unire invece che dividere la popolazione.
Continua così il teatrino dei battibecchi con critiche che volano su tutto: cantanti, carriole, dissenso … e in mancanza di unita’, di coraggio, di progetti, la citta’ si spopola.
Il nuovo sciame sismico fa da contorno ad una situazione gia’ difficile e ancora emergenziale nella quale, in quei paesi, non ci sono i ricoveri antisismici promessi e, quindi, di nuovo si e’ impreparati: si montano tende, tendoni, ma a L’Aquila e’ gia’ freddo.
Cosa si dira’ degli aquilani? Che sono solo piagnoni? O si riconoscera’ che lì dove si e’ potuto non solo c’e’ stata protesta, ma anche voglia di ricominciare con tanto di “rimbocco di maniche”. Prendo solo pochi esempi: i lavoratori dell’Universita’, delle mense, della Dompe’, i tanti commercianti, piccole imprese….
Ma non basta: non c’e’ accordo, lungimiranza, non si sa chi siano i “decisori”.

Poi guardo il Friuli e l’Umbria e le Marche. E ricordo l’Irpinia e il Belice.
Ci sono i terremoti del Nord e del Sud. E la differenza non sono solo le popolazioni e l’economia pre-esistente (che pure sono importantissimi) c’e’ che il Sud e’ ancora terra di conquiste … per gli affaristi che vanno a braccetto con una politica incapace di far sviluppare le regioni meridionali. Non conviene. Più conveniente e’ dire che noi siamo ingrati.

P.S. Oggi Giannantonio Stella e Sergio Rizzo saranno a L’Aquila, per un reportage della serie “Visioni d’Italia”. Io li incontrerò e cercherò di raccontare gli aquilani che io conosco: forti, gentili e mai fessi.

Quella regione testarda che ha battuto le new town