Nel corso del processo d’appello le difese degli imputati, pur se con differenziazioni, hanno cercato di smontare, riuscendoci, il castello accusatorio insistendo sul fatto che quella che si svolse a L’Aquila non fu una riunione ufficiale della Commissione Grandi Rischi.
In particolare l’avvocatura che rappresenta lo Stato, con i legali Sica e Giannunzi, aveva sottolineato che quella tenuta a L’Aquila non era una Commissione Grandi Rischi e che gli intervenuti parlarono a titolo personale: “Le informazioni riferite sono state rappresentate in maniera distorta, facendo riferimento sia all’ex assessore regionale alla Protezione civile Daniela Stati che alla stampa. Sulla stessa lunghezza d’onda, tra gli altri, anche l’avvocato Alessandra Stefano, legale di Claudio Eva secondo il quale si tratto’ di “una riunione di singoli”.
“La sentenza di primo grado – aveva sostenuto nella sua arringa – non ha dimostrato che le affermazioni rassicuranti ci fossero state, ma le ha date per scontate fin dall’inizio”.
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Per l’avvocato Stefano quella riunita a L’Aquila non era una Commissione istituzionalizzata, a parlare furono i singoli esperti e non il ‘soggetto unitario’ Commissione Grandi Rischi. A far da contraltare a questa tesi era stato soprattutto l’avvocato Attilio Cecchini, ‘principe’ del Foro aquilano il quale aveva sostenuto che “la linea giuridica della difesa secondo la quale i sette esperti non si riconoscono nella Commissione Grandi rischi e’ un errore giuridico perche’ in base a quanto scritto su alcune sentenze della cassazione, anche qualora ci fosse stata una irregolarita’ nell’investitura essi comunque indossarono la veste di pubblici ufficiali e dunque gli atti prodotti restano validi”. |
Per Cecchini, in definitiva, gli scienziati della commissione assunsero ed incarnarono comunque il ruolo di pubblici ufficiali. (da Radio L’Aquila 1)
Nell’immagine in basso, la notizia sul sito della Protezione Civile relativa alla “Riunione tecnica della Commissione Grandi Rischi“.![]() |

























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