«L’AQUILA BELLA MÉ, MA GLI AQUILANI…»

Riceviamo a pubblichiamo. ”Un omaggio per la città da un tipico aquilano, maligno e pettegolo.”


Ah, L’Aquila. Ci ricorda Buccio di Ranallo: “Gridaro tucti insieme: la città feciamo bella, che nulla nello regame non se apparechie ad ella”.

Raccontiamocela un po’, L’Aquila, uno dei più grandi centri storici d’Italia, unicum architettonico che nonostante i terremoti è ancora in grado di offrire superbi edifici religiosi innalzati nell’arco di sette secoli, per non parlare delle decine di palazzi rinascimentali, barocchi e neoclassici. Sono spesso spesso citati il Forte Spagnolo, la Fontana delle 99 cannelle, la basilica di Collemaggio: opere importanti, senza dubbio, ma la singolarità dell’Aquila è negli scorci da cartolina che si celano nel dedalo di vicoli, piazze e crocicchi, frutto di una stratificazione artistica tanto eterogenea da far impallidire le più blasonate mete umbre o toscane. Immaginate turisti che sorseggiano drink tra palazzi aquilani cosparsi di botteghe che vendono prodotti tipici – artigianato e gastronomia… ne avremmo per soddisfare tutti i palati –, circondati da vetrine allestite con cura e cullati da un’illuminazione che esalti la facciata di una chiesa, le finestre di un palazzo, o una fontana medievale. So che è difficile, ma provateci. Se ancora non riuscite, potrete farvi un’idea visitando un qualsiasi borgo medievale che non sia in Abruzzo.

Ma c’è dell’altro. L’Aquila può vantare uno degli scenari più affascinanti, maestosi ed incontaminati d’Europa: il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, la cui magnificenza ha attirato registi del calibro di Richard Donner (Ladyhawke), cantanti e gruppi di fama nazionale (Elisa, Negrita) che vi hanno girato videoclip, trasmissioni televisive di rilievo mondiale (Top Gear), senza dimenticare la realizzazione di innumerevoli spot pubblicitari (ricordate quello con Leonardo di Caprio)?

Il National Geographic ha riconosciuto Rocca Calascio come uno dei 15 castelli più belli al mondo. Le vetuste faggete abruzzesi (di cui abbiamo i migliori esempi proprio nella provincia dell’Aquila) sono state dichiarate patrimonio mondiale dell’Unesco.

Ed ancora: il Parco Nazionale d’Abruzzo, uno dei più antichi d’Italia, conosciuto anche al di fuori dei confini nazionali per l’attività di preservazione di importanti specie quali il lupo, il camoscio d’Abruzzo, e l’orso bruno marsicano.

E come non citare l’incanto di borghi medievali come Santo Stefano di Sessanio (autentico gioiello d’Italia recuperato alla fine degli anni ’90 grazie all’acume di un imprenditore italo-svedese), Castel del Monte, Navelli…?

E che dire della figura di Celestino V, che da sempre affascina il mondo intero, tanto da suggerire a Martin Scorsese l’idea di girare un film basato sulla sua storia?

Ma forse è meglio che mi fermi qui: qualche forestiero potrebbe pensare che sto esagerando, o addirittura mentendo. In fondo, chi ha mai sentito parlare dell’Aquila?

Sarà forse colpa dei suoi abitanti?

Ahi, gli aquilani!

Unicum italiano anche loro, certo. Chi, se non gli aquilani, avrebbe potuto decretare il fallimento del Centro Turistico del Gran Sasso (che, ricordiamo, è quella montagnetta di cui parlavo poc’anzi, dove hanno girato film, spot, etc), avendo anche l’ignominiosa arroganza di pretendere un balzello di 5€ per il parcheggio nel piazzale di Campo Imperatore, polo di attrazione turistica privo dei servizi più basilari, dove, tra immondizie, ripetitori e ferraglie, sopravvive un albergo in condizioni vergognose, con la prevedibile conseguenza che i (pochi) malcapitati visitatori ci massacrano su Tripadvisor postando commenti del tipo “non ho trovato nemmeno un cesso per fare pipì – se queste bellezza naturali fossero in Trentino riceverebbero la fama che meritano – l’albergo sembra quello di Shining…”.

Chi altri, dopo un sisma distruttivo, avrebbe potuto iniziare (dopo almeno cinque-sei anni dall’evento sismico) la ricostruzione di un immenso centro storico senza un rigoroso piano d’azione, realizzando opere a macchia di leopardo, ovvero edifici nuovi ma spesso inabitabili (per svariate ragioni) che porteranno sul groppone almeno dieci anni di invecchiamento quando la città potrà davvero dirsi rinata? E quale altra amministrazione di quaquaraquà avrebbe potuto pensare di rilanciare la città pensando solo alle case (che verranno affittate ai soliti studenti), senza provvedere a un contestuale riavvio delle attività commerciali, riportando subito gli uffici in centro e risolvendo i problemi di viabilità e parcheggi?

Quale altra comunità, in seguito alla rovina portata da una calamità naturale, avrebbe esasperato invidie e campanilismi (in questo gli aquilani sono maestri), cogliendo ogni minima occasione per sputare veleni ancora più mortiferi dello stesso sisma? Chi più degli aquilani è avvezzo ad esecrare qualsiasi spettro di intesa e cooperazione con il prossimo, e a spegnere ogni focolare di entusiasmo, preferendo indulgere nel più becero pettegolezzo (i famosi “dice che”)?

Chi altri avrebbe permesso che un territorio tanto ricco di bellezze artistiche e naturali potesse languire per decenni nel dimenticatoio del turismo nazionale e internazionale, rimanendo luogo sconosciuto e “ostile” (ovviamente a causa dei suoi altezzosi abitanti) perfino agli abruzzesi stessi? Quale fantoccio non sarebbe risuscito ad attirare un cospicuo turismo religioso (e non solo) grazie alla storia di Celestino V e alla ricorrenza della Perdonanza?

Chi non avrebbe saputo fare business avvicinando appassionati di mistero ed esoterismo, grazie all’aura mistica che permea ogni angolo della “città del 99”, avvalendosi anche dell’ausilio di trasmissioni televisive e scrittori che hanno già parlato a fondo di questi temi?

Ma forse sto chiedendo troppo. Dovremmo partire dalle basi, dall’ABC, e domandarci infine: quale barman, se non un tipico aquilano, potrebbe trattare con malcelato disprezzo il turista che domanda un caffè, reo di essere “nu rompicojò” che ha invaso il locale in cui sono apprezzati (con le dovute cautele e retro-maldicenze) esclusivamente gli amici del proprietario, i soliti tizi dai buffi nomignoli che finisco per “ò” – forcò, rubbò, magnò, cojò… – , che entrano con le mani in tasca e l’inimitabile sorrisetto beffardo “all’aquilana”?

Ah, L’Aquila.
Ahi, gli aquilani!

Riccardo Lotario

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