Umbria chiama Abruzzo – una testimonianza che fa riflettere

Cartina Italia(N.d.R.: consigliamo una lettura attenta di questa testimonianza, un’analisi  del post-terremoto in Umbria e L’Aquila. I cittadini aquilani concordano con queste considerazioni? Saranno in grado di ascoltare i consigli espressi nelle ultime righe di questa lettera?)

L’Aquila, 1 ottobre

Sono Umbro ed ho partecipato, ai tempi del “nostro disastro” sia alla fase di emergenza, in seno alla Protezione Civile, che, successivamente, alla ricostruzione, nel Comune del mio paese.


In questi mesi ho osservato (non tanto “da lontano”, dopotutto) quello che sta accadendo a L’Aquila, e vorrei dare il mio piccolo contributo per essere gia’ incorso in esperienze simili. La gestione del terremoto dell’Umbria-Marche, a conti fatti, si e’ rivelata un approccio di successo al problema terremoto, e molti, qui in paese, all’indomani del sisma che ha colpito l’Abruzzo, si sono augurati che il nostro approccio costituisse un modello da seguire anche per la gestione della ricostruzione dell’Aquila.

Invece, purtroppo, ciò non e’ accaduto, e gia’ a soli 6 mesi di distanza, si intravedono le prime conseguenze negative della via che sta prendendo la ricostruzione Abruzzo. Molti hanno detto e diranno ancora: “il terremoto in Umbria non e’ la stessa cosa di quello dell’Aquila: qui le dimensioni sono molto maggiori e non e’ detto che lo stesso approccio vada bene”.

Secondo me non e’ vero. Cambiano, e’ vero, le dimensioni del problema, ma se l’approccio si e’ rivelato vincente, in Umbria, gia’ dalle basi concettuali che lo hanno ispirato, non vedo perché tale approccio, fatte le dovute proporzioni, non possa essere vincente anche a L’Aquila.

Intanto, un paradosso emerge palese: in Umbria abbiamo evitato fin dal principio ogni spreco, concentrando le risorse economiche e materiali su quello che e’ il bene primario, minacciato dal terremoto e prima preoccupazione di tutti i cittadini: la casa.
Qui in Abruzzo, nonostante il fatto che proprio le maggiori dimensioni avrebbero suggerito una maggiore morigeratezza nelle spese, si sta facendo esattamente il contrario: si sta sperperando e sciupando senza freni! Alberghi a 4 stelle (tra l’altro, perché sulla costa in estate, e’ una coincidenza il fatto che nelle localita’ costiere in estate si va in villeggiatura?); fase emergenziale nelle tende, al costo di un milione di euro al giorno, durata (finora!) sei mesi (da noi la permanenza delle tende non e’ durata più di un mese); C.A.S.E. semi-provvisorie-quasi-definitive costate 2400 € al mq. (che un domani, semmai questo domani verra’, dovrebbero rimanere demanio del Comune, quando le esperienze passate hanno dimostrato che la gestione degli immobili di proprieta’ degli enti governativi o locali non conviene, tant’e’ vero che si e’ fatta una larga politica di alienazione degli stessi!).

Ulteriori permanenze in albergo a 4 stelle a tempo indeterminato, perché le costosissime C.A.S.E. non bastano; mobili, suppellettili, biancheria, accessori vari all’insegna del benessere, e, per finire, spumante e dolci locali quasi a voler sottolineare che proprio lo spreco regna sovrano! Esattamente il contrario di quello che noi abbiamo fatto all’epoca.

Intanto, nel nostro caso, la gestione del terremoto e’ stata fin dall’inizio nelle mani delle amministrazioni locali: Regione e, soprattutto, Comuni.

La Protezione Civile, allora, non era la stessa di quella che e’ ora: tutti noi ricordiamo con grande rispetto il benemerito Prof. Barberi, e gli riconosciamo il grosso merito di aver impostato la fase emergenziale nel miglior modo possibile. La Protezione Civile di allora fondava il suo operato sull’appoggio alle istituzioni locali. Era uno strumento di supporto alle attivita’ locali, non di accentramento di poteri, come, invece, appare l’organizzazione attuale: aiutava, non comandava.

Chi ha gestito il terremoto in Umbria, sia nella fase di emergenza che in quella ricostruttiva, sono stati gli enti locali, sicuramente più vicine alle vere necessita’ della popolazione. Nel caso dell’Abruzzo, invece, la PC appare quasi un organo militarizzato, con gerarchie e ferree regole: tutto e’ in mano ad essa e a chi la governa dall’alto, senza alcuna possibilita’ inferenziale da parte dei sindaci.

Loro arrivano perfino a decidere dove dovra’ vivere per i prossimi anni la famiglia Mario Rossi! Questo accentramento di tutte le decisioni ha totalmente svilito la citta’, i cittadini, ha diviso la popolazione che, non potendo decidere del proprio futuro, non ha alcuna ragione di porsi un obiettivo su cui unirsi e lavorare.

Qualcuno (politici locali) prova ad alzare la voce: nessuno (cittadini) lo appoggia, il Consiglio dei Ministri lo ignora totalmente, ed egli non può che tacere. I Comitati Cittadini tentano di sollevare una coscienza popolare, di riunire le persone per lavorare insieme, ma le persone nelle tendopoli sono tenute a bada dalla PC; quelle nelle citta’ costiere sono disperse, così anche l’azione dei Comitati risulta vuota e vana.

Qualcuno prova a scrivere, a pubblicare un’analisi: la stampa non reagisce e così anche questi tentativi vanno a vuoto.

Inizialmente, subito dopo il terremoto, sembrava che ci fosse una variegata, seppure un po’ scomposta, reazione popolare, che cercava di muoversi, di farsi sentire, di analizzare, in qualche modo, i possibili esiti delle azioni che si stavano mettendo in campo, e di reagire ove opportuno, ma questa confusa fase e’ durata ben poco, soppressa senza troppa fatica.

Secondo me, l’approccio del Governo e’ stato cesellato con grande maestria: la dispersione delle persone nella costa, la centralita’ delle decisioni, le C.A.S.E. che hanno monopolizzato tutto l’apparato mediatico offuscando i veri problemi che ci stanno sotto, e, quale “condimento” di tutto il resto, il lusso e lo spreco. Lusso e spreco che hanno la loro, importantissima, funzione propagandistica: sono sicuro che la stragrande maggioranza delle famiglie a cui sono stati assegnati alloggi “all comfort” nei complessi C.A.S.E., alle prossime elezioni voteranno in una precisa direzione! Tutto magistralmente architettato per iniettare narcotico nelle vene dei poveri terremotati!

L’approccio che abbiamo adottato in Umbria e’ stato completamente diverso. Abbiamo subito messo un “paletto” a tutto il discorso: le case, la ricostruzione di quello che c’era così com’era (ovviamente, messo in sicurezza dal punto di vista sismico), il nostro (e sottolineo nostro, cioe’ gestito da noi!) patrimonio immobiliare, familiare, storico, sociale, da noi ritenuto elemento assolutamente imprescindibile per la ricostituzione della nostra vita, il nostro protagonismo, la nostra individualita’ che doveva essere l’attore principale della ricostituzione del nostro tessuto sociale. I soldi destinati alla ricostruzione sono stati utilizzati oculatamente. Attenzione: non e’ stato dato tutto a tutti, non si e’ ricostruito tutto al 100%. Le parti strutturali e gli esterni degli edifici (condominiali e non) sono stati finanziati al 100%; poi, per la ricostituzione delle parti interne, si e’ fatta distinzione tra Prime Case e Seconde Case (attenzione: Prime Case, non Abitazioni Principali, perché il diritto di proprieta’, non quello di abitazione, e’ sancito dalla Costituzione!). A L’Aquila, a mio parere, c’e’ gia’ chi, abbagliato dallo spumante che ha trovato nella sua nuova pseudo-confortevole C.A.S.A., s’e’ gia’ scordato della casa che era di suo padre, e nella quale ha vissuto per tutta la vita!

Le domande che gli Aquilani dovrebbero porsi sono tante:

– Che fine fara’ il centro storico, quando i gia’ pochi soldi a disposizione, sperperati, saranno finiti?

– Che aspetto assumera’ la citta’ dell’Aquila, quando i bei vicoli e le belle chiese resteranno a guardia di borgo privo di brezza vitale (novella Gibellina), e gli assembramenti periferici sorti senza una pianificazione rispettosa diventeranno le aritmiche pulsazioni di una comunita’ smembrata?

– Che fine faranno le radici della gente d’Abruzzo, quando delle loro case non resteranno nemmeno le macerie (ammesso che, prima o poi, qualcuno si decidera’ a rimuoverle).

Mi viene da pensare che se il sisma Aquilano fosse accaduto in qualche altra parte d’Italia, forse la popolazione avrebbe agito con maggiore determinazione: avrebbe rivendicato i propri diritti in modo più autorevole, avrebbe fatto scudo in modo compatto contro le ruspe, impedendo la costruzione delle C.A.S.E., si sarebbe ripreso il proprio spazio vitale, annichilito non tanto dal terremoto, quanto da chi lo gestito.

Certo, diciamoci la verita’: abitare per qualche anno in un container o in una casa provvisoria di legno, anziché in una C.A.S.A. con lenzuola pulite e frigo pieno e’ un po’ più scomodo, ma, alla luce di quello che ormai in Umbria e’ storia passata, gli Aquilani pensano forse che ci sia un solo Umbro che avrebbe preferito, in quella terribile occasione, di essere sistemato in un alloggio pseudo-defintivo come le loro C.A.S.E.?

Concludo con un consiglio: cari Aquilani, non tutto e’ perduto.

Unitevi, evitate di litigare tra “tendopolisti” e “costieri”, disperdendo inutilmente le vostre energie. Obbligate il vostro Sindaco e i vostri amministratori locali ad imporsi con maggiore determinazione. Concentratevi su quelli che ritenete debbano essere i veri vostri obiettivi finali e fate decisamente muro contro chi ve li vuole oscurare!

Umberto Morini – Umbertide (PG)