TRA LE MACERIE DEL DUOMO DI MIRANDOLA: RICOSTRUZIONE E FEDE

duomo_mirandolaAggirando le barricate metalliche che segnano il cammino obbligato delle strette vie del centro di Mirandola, si accede alla piazza antistante alla cattedrale del Duomo, già devastato dalle scosse del 20 maggio e finito da quelle del 29. Guardandolo di fronte, il gigante ferito mantiene quasi intatta la sua bellezza tardo/gotica, con una facciata maestosa e fiera.

Solo in un secondo momento ti accorgi che attorno alla facciata non c’è più una chiesa, non c’è più culto o ornamenti. Solo cumuli di macerie, una struttura scoperchiata più simile a San Galgano che a San Francesco d’Assisi a cui voleva assomigliare. E ti assale lo sgomento, lo stesso che leggi negli occhi di Don Carlo Truzzi, da 15 anni parroco di Mirandola, la guida che con fare mesto e pensieroso ci accompagna fra le macerie. Un pezzo d’altare si erge fra cumuli di ferro e cemento, e sopra di lui, in una frazione di tetto che ancora resiste, penzola quel che rimane di un crocefisso, inerme e impotente.

“Io entro qui di nascosto dai Vigili del Fuoco, e me la guardo, poveretta. Avrebbe anche retto: la scossa è stata brutta, ma tutto sommato la struttura ha tenuto. E’ il campanile che ha tradito. Con la scossa del 29 è caduto ed è crollato sopra al tetto della chiesa e l’ha sfondata.

C’era fumo dappertutto, detriti, polvere, non si capiva nulla. Per fortuna non c’era funzione, la chiesa era già chiusa, altrimenti poteva essere una strage”.

Come ha vissuto quei primi momenti dopo il sisma?

Quella domenica 20 maggio dovevo celebrare un matrimonio in Duomo. Naturalmente è saltato. Però abbiamo deciso di farlo al ristorante dove pranzavano gli sposi. Sono entrato a prendere le carte che mi servono per officiare, e ripensandoci ho corso un bel rischio.

Qui basta una qualche microscossa che può venire giù di tutto,”

Dopo la scossa del 29, un parroco di Rovereto, don Ivan Martini, è morto sotto alle macerie della sua chiesa. Cosa ha pensato?


“Poveretto, ha avuto molta sfortuna. Stava facendo un sopralluogo con un vigile del fuoco quando è arrivata la scossa, è caduta una trave che ha sfiorato il pompiere ed ha centrato lui in pieno. Era un bravo parroco, molto vicino alla sua comunità.

Pensi che nelle prime ore, c’era molta confusione, le notizie circolavano male perché tutti i telefoni erano bloccati, e qui a Mirandola girava la notizia che fosse morto il prete, e tutti pensarono a me.

Che ne sarà adesso del Duomo di Mirandola?

Mah, in teoria è stato messo nella lista delle opere artistiche da salvare e restaurare, ma io non so come faranno. Ci vorranno anni. Pensi che a distanza di 11 mesi, stanno cominciando solo adesso a rimuovere le macerie. Lo fanno con cautela, perché se crolla quel che resta del tetto può essere un’altra catastrofe. E poi mi chiedo con che risultati…sarà una ricostruzione difficile e costosa.

Oltre al Duomo, come diocesi avete avuto molti danni ad altre strutture?

Parecchi si. La chiesa di San Francesco anche lei è praticamente distrutta, la parrocchia, un asilo, diverse canoniche, campanili.

Ma chi vi sta aiutando concretamente?

La Caritas ci sta aiutando parecchio. Ha attivato fin da subito una raccolta fondi, ha portato viveri e soccorso. In pochi mesi ha raccolto oltre 10 milioni di euro, per noi vitali per andare avanti…

E invece dal Vaticano cosa hanno fatto, quale supporto vi stanno dando?

Ma guardi, più che dal Vaticano, che in realtà ha un mondo intero a cui pensare e problematiche forse anche più gravi di questa, mi sarei aspettato più supporto da parte della CEI (Conferenza Episcopale Italiana, ndr). Invece molta solidarietà, molte belle parole di sostegno, ma di soldi pochi. Noi qui abbiamo bisogno di soldi per ripartire…

Però quando è venuto qui il Papa, cosa vi ha detto?

A parte che io non sono riuscito ad esserci perché avevo un funerale da officiare, e poi in queste occasioni di massa, cosa vuole che dica. Sono un po’ sempre parole di circostanza, c’è molta pressione attorno. Sono momenti che alla comunità fanno piacere, anche se ad esempio si è notato che il Papa sia venuto qui dopo il Dalai Lama.

Se queste visite possono servire a tenere alta l’attenzione sul sisma, sulla ricostruzione, sulla mia comunità ben vengano. Qui la gente sta reagendo con forza e coraggio, si stanno adattando ai cambiamenti, ma piano piano ripartono.

Certo, adesso la priorità per molti non è venire in chiesa: alle funzioni c’è meno gente, anche le offerte sono calate, però è normale. Ci sono altri problemi più urgenti.

Ma tornando al patrimonio artistico/culturale: il Duomo si salverà ma tutto il resto? Chiese di campagna, piccole pievi, monumenti danneggiati, che fine faranno?

Io credo che qualcosa bisognerà abbandonare. Una volta messo in salvo il patrimonio artistico più importante, quali statue, quadri e affreschi, per il resto stiamo parlando di piccole chiese già logore dal tempo e di struttura muraria malmessa, già compromesse prima del terremoto. Non si può salvare tutto, è la storia che è fatta così. Se ci mettessimo a ricostruire tutto, faremmo un mondo di falsi: bisogna ricostruire con intelligenza e ripartire con cose nuove e rinnovato entusiasmo.”

Sorride finalmente Don Carlo, forse per la prima volta dopo molto tempo. Le campane di una chiesa lontana suonano il mezzogiorno. Si congeda con un monito gentile e affettuoso: “Siete venuti in tanti qui per chiedere, fotografare, filmare, e noi vi accogliamo con piacere. Ma non vi dimenticate di noi, mi raccomando”.

Bologna, 23 aprile 2013

D’Alena & Ferramola

da CheFuturo.it