L’AQUILA, RICOSTRUZIONE E SPRECHI: «TROPPI SOLDI PER GLI EDIFICI E»

Nel dibattito sui costi della ricostruzione in Abruzzo uno dei leit motiv ripetuto quasi come una sorta di mantra dal sindaco Cialente è che «il terremoto dell’Aquila passerà alla storia come quello che è costato meno per le casse dello Stato». Una frase che ha generato a riflessioni e a stimolare la ricerca di dati e numeri legati a quanto è stato speso e, soprattutto cosa si sarebbe potuto fare per evitare sprechi.

Nel corso del salone della ricostruzione l’Istituto per le tecnologie della costruzione del Consiglio nazionale delle ricerche (Itc-Cnr) ha fornito cifre e una ricostruzione di ciò che accaduto nel post sisma, quando l’errore più grande, secondo Giandomenico Cifani dell’Itc-Cnr dell’Aquila, «è stato quello di legare il contributo per la ricostruzione all’esito di agibilità contenuto nelle schede di valutazione del danno».

cantiere_terremoto_centro_puntellamentiIl documento tecnico, infatti, come stabilito da chi la ideò nel 1998 è finalizzata ad una elaborazione della stima del rischio dell’edificio terremotato, e non al calcolo del denaro necessario per la riparazione o la ricostruzione, come poi è stato fatto nel cratere sismico. Del resto, l’obiettivo della scheda è riportato nella Gazzetta ufficiale «La valutazione di agibilità in emergenza post-sismica è una valutazione temporanea e speditiva (vale a dire formulata sulla base di un giudizio esperto e condotta in tempi limitati, in base alla semplice analisi visiva ed alla raccolta di informazioni facilmente accessibili) volta a stabilire se, in presenza di una crisi sismica in atto, gli edifici colpiti dal terremoto possano essere utilizzati restando ragionevolmente protetta la vita umana». Avendone stravolto le finalità con le Opcm stilate dopo il 6 aprile 2009 è accaduto così che (dati Cnr) 3600 edifici catalogati “E” non avessero danni strutturali o gravi al punto da giustificarne una simile classificazione, ma in virtù di questo giudizio abbiano avuto accesso al contributo massimo quando invece si sarebbero potuto spendere meno fondi per il ripristino. «Per non parlare degli edifici vincolati» aggiunge Cifani, ricordando come il contributo in questi casi per l’Abruzzo sia stato maggiorato del cento per cento: una gran bella differenza rispetto a quanto accaduto nel passato,quando nel terremoto Umbria-Marche (1997) e Molise (2002) l’aumento di contributo è stato del 20 per cento e in Emilia Romagna (2012) del 40 per cento. L’ultima criticità è quella rappresentata dai piani di ricostruzione, obbligatori per legge ma che soprattutto nei centri del cratere con meno danni hanno provocato un evidente rallentamento nei processi di rinascita dei centri storici.

Ma come si sarebbe potuto fare senza i piani di ricostruzione? «Come hanno fatto ad Opi nel 1984, dopo il terremoto che interessò diverse aree del Parco nazionale – conclude Cifani – Lì si è proceduto con gli strumenti urbanistici che il Comune aveva a disposizione e in cinque o sei anni hanno ricostruito in modo sicuro e veloce».

Giorgio Alessandri | Il Tempo