10 DOMANDE E RISPOSTE SUL TERREMOTO IN EMILIA: COSA SVELA QUESTO SISMA

1 – Il cuore della Val Padana da dieci giorni continua a tremare con un’intensità inaspettata. Che cosa sta succedendo? 
Dal 20 maggio si sono registrate sei scosse con una magnitudo superiore ai cinque gradi della scala Richter, due delle quali hanno sfiorato i sei gradi. Il «fronte attivo » con gli ultimi terremoti di martedì si è allungato verso ovest di una decina di chilometri e ora si sviluppa su un territorio esteso oltre cinquanta chilometri in parallelo con il fiume Po. Le faglie che si sono create corrono dunque da Est a Ovest. Tutta l’energia finora sprigionata, hanno calcolato gli scienziati, resta comunque inferiore a quella emersa dal terremoto de L’Aquila.

2 – Tante scosse violente, significa che la situazione è grave?
Al contrario; la loro manifestazione unita a tanti altri piccoli sismi, dimostra che nel sottosuolo si è creata una frammentazione della struttura geologica. E questa ha evitato una rottura simultanea dell’intera struttura la quale avrebbe potuto causare un terremoto ben più forte. È una caratteristica osservata in precedenti casi avvenuti lungo la Penisola sia in anni recenti che nei secoli passati, come quello del 1570 che colpì Ferrara.

3 – Numerosi sismi ravvicinati che ci sorprendono: vuol dire che non ne conosciamo le cause? 
No, la causa generale è nota ed è sempre la stessa; cioè la spinta della placca africana contro quella euroasiatica per cui abbiamo gli Appennini che viaggiano in direzione delle Alpi. Lo scontro accumula energia che viene liberata dal terremoto. La Pianura si accorcia da Nord a Sud di qualche millimetro all’anno e in prospettiva, fra qualche milione di anni, sprofonderà sotto la catena alpina. Questo fenomeno scuote da millenni la regione, sia pure, con un’intensità non rilevante, almeno da quando ne abbiamo traccia.

4 – C’era l’idea diffusa che la Val Padana fosse una terra geologicamente tranquilla, immune dai terremoti. Ora non è più così? 
Che nei secoli recenti non si fossero registrate scosse violentissime è vero e questo ha indotto a pensare che non esistessero problemi gravi. Ma è sbagliato ed è necessario tenerne conto costruendo in maniera adeguata in modo da difendersi e vivere in sicurezza anche quando la terra continuerà inesorabilmente a tremare.

5 – Ma come mai fino al 2003 queste zone adesso colpite e classificate secondo un pericolo medio-basso non erano nemmeno prese in considerazione?
Per i terremoti in genere nel nostro Paese, e anche in altri dell’Europa, si è cominciato ad agire seriamente dopo i gravissimi sismi del Friuli nel 1976 e dell’Irpinia nel 1980 che provocarono migliaia di morti. Una prima classificazione dei pericoli veniva attuata dal CNR nel 1984 con un «Progetto finalizzato» che ha consentito di valutare i vari territori della Penisola secondo tre criteri. In questa prima fase la Val Padana era giudicata tranquilla. Le zone sismiche classificate in quell’operazione corrispondevano a circa il 45 per cento del territorio nazionale e solo il 14 per cento delle abitazioni erano costruite secondo norme antisismiche. Molte ampie zone non rientravano però nella classificazione.

6 – Ci si fermò perché il lavoro era giudicato sufficiente? 
No. Infatti negli anni Novanta si proseguì lavorando a una carta del pericolo sismico generale che purtroppo rimaneva a lungo un magnifico studio scientifico nel cassetto. Diventava, infatti, un regolamento da applicare nelle costruzioni solo nel 2003 grazie ad un’ordinanza della Protezione civile che stabiliva dei criteri e aggiungeva una quarta categoria che includeva i territori prima non considerati. Ed è da allora che anche per le aree della pianura il pericolo è riconosciuto.

7 – Possiamo procedere con gli strumenti che abbiamo e non è necessario aggiornare le carte? 
È opportuno aggiornare. Ed è quello che gli studiosi vanno facendo in continuazione con i dati che raccolgono. Ciò che sarebbe oggi opportuno — si sostiene — è una classificazione del rischio mentre adesso ci si limita a valutare il pericolo. Il rischio, invece, deve tener conto non solo della vulnerabilità del territorio in base agli eventi statistici del passato ma considerare anche il valore economico della zona, i suoi insediamenti produttivi. Quindi in certi luoghi rimasti disabitati o scarsamente popolati il pericolo può essere alto ma il rischio basso. Invece se ci sono attività produttive il rischio diventa alto e quindi bisogna agire di conseguenza. Ecco, questo passo non è stato ancora compiuto ed è un processo che deve coinvolgere oltre i geofisici anche ingegneri ed economisti e altri esperti.

8 – Dall’anno scorso nella Val Padana si registra un intensificarsi dei picchi massimi dei terremoti. È chiaro perché ciò stia accadendo e in questo modo? 
Per niente. E i ricercatori ammettono che si tratta di un fenomeno per il momento difficile da capire. È necessario intensificare i rilevamenti sul territorio aggiungendo altri strumenti come sta facendo l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. Ma è solo il primo passo necessario per decifrare una situazione. Occorre però un arco di tempo lungo per valutare ciò che succede e trarne qualche cognizione utile, delle conclusioni su cui basare eventuali interventi.

9 – Dopo queste scosse si può ritenere esaurito il fenomeno iniziato il 20 maggio che ha provocato disastri e vittime?
Purtroppo no. Gli scienziati non sono in grado di dire se vi sia ancora dell’energia che deve liberarsi dal sottosuolo padano. Quindi ritengono ancora possibili delle scosse anche di intensità elevata paragonabile alle ultime verificatesi. Potrebbero essere necessarie altre settimane se non addirittura dei mesi perché il fenomeno possa essere considerato esaurito.

10 – Potrebbe ripetersi addirittura il terremoto che colpì il Ferrarese nel 1570 e che rimase attivo, sia pure a livelli degradanti nel tempo per circa quattro anni? 
Tutti sperano di no. Nessuno, naturalmente se lo augura. È impossibile dire una parola scientificamente credibile sul futuro. La ricerca ha bisogno di approfondire questa frontiera davanti alla quale siamo ancora disarmati. L’unica misura è la prevenzione nel costruire.

Giovanni Caprara 

le risposte sono state redatte con la collaborazione di Claudio Carabba dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia
da Corriere.it