Ambiente: in Italia 15mila cave abbandonate. Situazione preoccupante in Abruzzo

Sono 15mila in Italia le cave abbandonate e quasi 6mila quelle attive. Nove regioni sono senza piani-cava, in Sicilia, Sardegna, Calabria, Basilicata si estrae gratis. Questi i dati diffusi da Legambiente nel suo Rapporto Cave 2011, presentato con una conferenza stampa, con cui l’associazione ambientalista richiama l’attenzione sui danni al paesaggio causati dall’attivita’ estrattiva, fonte miliardaria di guadagno per chi estrae senza regole e controlli.
Il rapporto denuncia “la ferita rilevantissima al paesaggio” inferta dalle 15mila cave -incluse le 13mila dismesse e quelle abbandonate – che colpisce 2.240 comuni. L’Italia e’ il Paese dove si consuma piu’ cemento in Europa (oltre 34 milioni di tonnellate e una media di 565 chili per ogni cittadino).

Il rapporto segnala come “particolarmente preoccupanti” le situazioni di Veneto, Abruzzo, Molise, Sardegna, Calabria, Basilicata, Campania, Friuli Venezia Giulia e Piemonte, dove non e’ in vigore un piano cave e dove tutto il potere e’ nelle mani di chi concede l’autorizzazione. L’associazione ambientalista punta il dito contro un sistema privo di regole caratterizzato da una “ridicola” discrepanza tra le entrate degli enti pubblici derivanti dai canoni e il volume d’affari del settore. A fronte di un ricavo annuo dei cavatori da 1 miliardo e 115 milioni di euro dovuto alla vendita di sabbia e ghiaia (i materiali di minor pregio), alle regioni vanno 36 milioni di euro di canoni di concessione visto che in media in Italia si paga il 4% del prezzo di vendita degli inerti, e in Basilicata, in Calabria, in Sicilia e in Sardegna si cava addirittura gratis.

Per Edoardo Zanchini, responsabile Urbanistica di Legambiente “e’ necessario ripristinare la legalita’ soprattutto nel Mezzogiorno dove l’attivita’ di cava e’ assurdamente gratuita e dove il peso delle ecomafie nell’intero ciclo del cemento e’ decisamente inquietante”. Per Legambiente servono nuove regole per il settore e nuove soluzioni che consentano all’attivita’ estrattiva di diventare un settore di punta della green economy anche facendo a meno delle cave e puntando invece sul recupero degli inerti provenienti dall’edilizia come gia’ succede in altri Paesi europei.

L’associazione ritiene infatti che si possano raggiungere risultati molto significativi imponendo l’obbligo di utilizzare al posto dei materiali da cava per infrastrutture e costruzioni quelli provenienti dal riciclo degli inerti edili di identiche prestazioni. E basta guardare al resto d’Europa per convincersi dell’urgenza di un cambiamento: mentre in Italia si utilizza solo il 10% dei materiali riciclati provenienti dall’edilizia in Germania si arriva all’86,3 %(erano al 17 nel 1999), in Olanda al 90%, in Belgio all’87% e la Francia in 10 anni e’ passata dal 15% al 62,3%.

Un ritardo quello del Bel Paese che Legambiente giudica “facilmente colmabile”. E si prospettano vantaggi anche sul versante occupazione: se una cava da 100mila metri cubi l’anno impiega in media 9 addetti, un impianto di riciclaggio di inerti della stessa dimensione ne occupa piu’ di 12. “Perche’ Tremonti e le regioni non guardano a questo settore per recuperare risorse invece di toglierle alle fonti rinnovabili o agli enti locali? – ha affermato Zanchini – Copiando dall’Inghilterra si possono recuperare ogni anno quasi 300 milioni di euro da un’attivita’ che ha un impatto enorme sul paesaggio italiano”. Legambiente auspica dunque un adeguamento del canone in tutte le regioni al prezzo medio pagato oggi nel Regno Unito per l’attivita’ di cava, ossia il 20%, cosi’ da poter generare risorse pari a quasi 268 milioni di euro (oltre 7 volte i 36 milioni di euro citati in precedenza).

In questa prospettiva la Lombardia guadagnerebbe quasi 7 volte di piu’ di ora (da 7 a 48 milioni di euro), il Lazio dieci volte in piu’ (da 4,7 a 47 milioni di euro), il Piemonte oltre sei volte (da 5 a 33 milioni di euro) mentre in Puglia si avrebbero nuove entrate per 22 milioni di euro e in Sardegna per quasi 17 milioni. (AGI)

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