LA SMART CITY? UNA QUESTIONE DI LINGUAGGIO

Secondo Luca Toschi, direttore del Communication Strategies Lab di Firenze, le città del futuro saranno “smart” solo se sapranno far parlare i cittadini attraverso le nuove tecnologie.

“Che cosa è una Smart City? Francamente non so dirlo. Ma sono sicuro di una cosa: Smart significa andare al cuore di un’espressione: «Ah, non lo sapevo!»”. Luca Toschi non è un profeta della tecnologia che cambierà le nostre vite e il modo di vivere la città. Al contrario, la sua riflessione sulle Smart Cities procede in direzione ostinata e contraria. Professore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, direttore del Communication Strategies Lab dell’Università di Firenze e pioniere degli ipertesti in Italia, Toschi ha letteralmente spiazzato il pubblico del Cortona Mix Festival, che dal 28 luglio al 5 agosto anima la cittadina in provincia di Arezzo con un ricco programma culturale. Intervenendo sul tema Smart Cities e Realtà Aumentate, il professore di Firenze ha operato un cambio di paradigma. Ponendo l’innovazione tecnologia delle città non alla base della rivoluzione Smart, ma al termine di un processo pre-tecnologico che vede nella partecipazione di ciascuno al processo di produzione della tecnologia la chiave per migliorare la qualità della nostra vita.


“Non sono contrario a momenti di sottrazione tecnologica se la tecnologia non apporta reali vantaggi”
, confessa Toschi a Wired.it. “Il processo che porta alla creazione di strumenti innovativi, risiede prima di tutto nell’innovazione e nella creazione di un linguaggio condiviso e partecipato che porti le persone a saper usare quei dispositivi, per risolvere problemi concreti”. E porta un esempio. “Abbiamo digitalizzato sempre di più la voce attraverso smartphone, microfoni, video conferenze. Ma un comunicatore esperto sa che, in alcuni momenti, l’efficacia del suo messaggio passa attraverso le corde vocali e l’uso del corpo im-mediato, cioè privo di mediazione tecnologica”. Così, ad esempio, ricordando i primi anni in cui studiava l’utilizzo delle mail per la convocazione delle conferenze aziendali e la comunicazione interna, Toschi afferma: “Ci accorgemmo che aumentando il numero della mail, diminuivano i partecipanti. Paradossalmente, il mio consiglio fu quello di tornare ai vecchi sistemi di comunicazione orale: il cicaleccio aziendale e il passaparola, si sono rivelati strumenti formidabili”.

Non è un passatista Luca Toschi, al contrario. Laureatosi nel 1971 alla Ucla di Los Angeles nel momento in cui Internet muoveva i primi passi, è uno dei massimi esperti italiani di comunicazione cooperativa, digital writing, strategie della comunicazione e media literacy. Tornato in patria ha lavorato con IBM alla creazione di alcuni dei primi ipertesti italiani e con la Coop della Toscana-Lazio elaborò il progetto uno dei primi social network: ogni socio avrebbe potuto avere una pagina personale all’interno del portale della Cooperativa, in un dialogo costante con i vertici. Era il 1996 e due anni dopo, quando il progetto andò online, fu considerato troppo innovativo per l’epoca. “E forse lo era”, confessa il professore, “quando la Coop decise di lanciare un portale nazionale, il mio progetto fu abolito”. Ma da questa esperienza Toschi ha capito che il successo della tecnologia “dipende dalla sua capacità di ridare un senso alla vita relazionale delle persone”, non di sottrarre la realtà a favore della virtualizzazione.

La sfida delle Smart City si giocherà allora tutta sulla capacità di comunicare il loro funzionamento ai cittadini. Dove il temine comunicazione, per Toschi, indica un contemporaneo processo di formazione. E per spiegare questo concetto si rivolge all’unica e vera Smart City che dice di aver conosciuto. Londra, San Francisco, Shangai? “No, la mia città ideale fu l’azienda di Adriano Olivetti”, continua il direttore del Communication Strategies Lab. “Il modello di organizzazione era esemplare: non c’erano gerarchie, ma ruoli. E durante le riunioni aziendali ognuno condivideva la sua esperienza: l’operaio poteva dire all’ingegnere cosa non funzionava nella realizzazione dei suoi progetti”, una sorta di crowdsourcing ante-litteram. “Il tutto era un processo sostenibile e tecnologicamente vincente: basti dire che fu Olivetti ad inventare il Personal Computer”.


La creazione di un linguaggio tecnologico a tutti comprensibile perché nato dalle esigenze reali dei cittadini, tuttavia, non è un obbiettivo semplice da raggiungere. La massa di dati prodotta da una città, il processo di elaborazione di questi dati e la loro accessibilità, rischiano di essere prerogative di pochi tecnici. “Per questo il mio discorso sposta l’attenzione dall’architettura della tecnologia alla comunicazione e al linguaggio con cui viene espressa”. Perché l’Internet delle cose, secondo Toschi, funziona solo se indirizzato dalle persone, che ne conoscono i fini e chiedono di partecipare alla produzione della stessa tecnologia che andrà a semplificare i vari aspetti della loro vita: trasporti, efficienza energetica, open government

“Le città intelligenti saranno tali solo se le comunità che le abiteranno sapranno sfruttare le tecnologie non solo per fornire delle risposte ai propri bisogni, ma per formulare le domande giuste
, afferma il professor Toschi. E conclude: “La vera innovazione è fare per trovare delle nuove idee, e ideare per poter fare cose nuove. La Smart City sarà l’opportunità per mettere in Rete questo saper fare delle persone: comunicazione partecipata”.

(Credit per la foto: Getty)
di Gabriele Pieroni da wired.it

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