LA SFIDA DI FINALE EMILIA: IL CENTRO È TORNATO A VIVERE

Sei mesi dopo, la torre dei Modenesi si trova nel giardino della scuola elementare. Li hanno raccolti lì, in pile ben ordinate, i mattoni che i ghibellini avevano usato per costruirla, nel Duecento, e adesso si aspetta uno sponsor temerario per partire con l’anastilosi, la ricostruzione del monumento con le sue stesse pietre. «Forse abbiamo trovato un grosso gruppo…» e Fernando Ferioli di più non dice. La torre medievale, crollata in due riprese il 20 maggio, è l’unico monumento su cui il sindaco di Finale Emilia sia pronto a giurare: «Tornerà com’era e dov’era». Come sta facendo, ma più rapidamente di quel che si sperasse, la “fedelissima” degli Estensi. «È vero, parecchi privati hanno già restaurato l’abitazione ma abbiamo dei palazzi, molti dei quali sono beni pubblici, che sono implosi e che sarà oneroso recuperare, anche sperando di trovare tutte le risorse necessarie»: è cauto solo a parole, perché Ferioli è uno che sa rischiare. Come quando, coi finalesi sotto le tende, ha spiegato alla Protezione civile che qui non ci sarebbe stata nessuna zona rossa. «Chiudere un centro storico terremotato significa non poter più intervenire, sovente per anni – spiega -, per questo abbiamo optato per le chiusure selettive: oggi questa strada perchè un campanile è pericolante, domani quell’altra perchè quel muro ci preoccupa…».

Di muri preoccupanti ce ne sono parecchi, nell’epicentro della prima scossa, ma ieri il sindaco ha ordinato di riaprire anche via Trento e Trieste. Fino all’Ottocento, il decumano della “piccola Venezia” era il letto del Panaro. Il fiume fu deviato con innegabile perizia da questi emiliani volitivi, che da secoli lottano contro l’acqua a colpi di argini. Ora però il nemico è la terra, che trema ancora, che ha tremato per mesi e che sembra non voler smettere mai. Il terremoto è iniziato qui sotto, a sei chilometri di profondità, alle 4 del 20 maggio, spezzando la Torre dei modenesi e la vita di sette persone nei dintorni. Con il tragico replay di nove giorni dopo, il triste bilancio è salito a quota venti – anche un finalese tra le vittime – e ad oltre 30mila abitazioni danneggiate nei 33 comuni del cratere sismico, per un danno di 3,3 miliardi, senza contare qualche migliaio di aziende – non a caso, questo è considerato il terremoto delle imprese – e danni all’economia che superano i cinque miliardi.


La ricostruzione di case e fabbriche sarà finanziata dallo Stato per l’80%: Comuni (per le case) e Regione (per le aziende) hanno censito il danno e stanno avviando le procedure di rimborso. Dove l’unica ferita lasciata dalle scosse era la paura si è tornati a casa ma quattordicimila famiglie hanno dovuto trovarsi un altro tetto e ricevono il contributo di autonoma sistemazione. Solo 2200 sfollati vengono ospitati ancora negli hotel. Più incerte le prospettive di chiese e monumenti: secondo la Regione Emilia Romagna «la stima dei danni diretti al patrimonio culturale supera i due miliardi di euro» e non è chiaro dove si troveranno quei soldi.

«Finale presenta 120 milioni di danni, considerando soltanto gli edifici di proprietà pubblica. In alcuni casi, tuttavia, una chiesa o un palazzo pericolanti comportano l’inagibilità dei palazzi vicini: il centro medievale presenta interi isolati in queste condizioni» conferma Ferioli, il quale però non deflette dalla sua strategia. Anzi, insiste: «Dove c’è pericolo si transenna, altrove il centro torna subito a vivere». L’esperienza gli dà ragione: Valentina Zaccaria ha appena aperto un negozio tutto nuovo di calze e intimo in piazza Verdi. Un investimento a dispetto del terremoto e della crisi: «Ho fatto una piccola indagine di mercato – spiega – e non c’erano negozi di calze in zona; con il sisma mi hanno fatto uno sconto sull’affitto e ho deciso di aprire». Valentina non è la sola a mostrare spirito d’impresa e a scommettere sulla rinascita del centro. Cinzia Costanzelli ha riaperto la cartolibreria in piazza Verdi l’11 luglio. «Con una gran transenna a impedire il passaggio, perchè il Comune davanti a noi è pericolante, esattamente come altri tre palazzi della piazza. E le crepe si allargano, speriamo bene!» Il cruccio della negoziante riguarda il fatturato – «si lavora al 50%» – e le tasse: «a metà dicembre dovremo versare tutti i tributi sospesi in maggio, dopo il terremoto. Non chiediamo sconti, ma un’ulteriore proroga, com’è stato fatto in Abruzzo, perché molti esercizi commerciali sono ancora chiusi, la crisi è pesante per tutti e non so proprio come faremo».

Unica consolazione, i finalesi non dovranno rinunciare neanche quest’inverno alla Tibuia. La tradizionale sfogliata di formaggio era il vanto della comunità ebraica finalese ma «non è vera Torta degli ebrei se il Parmigiano non è stagionato trenta mesi» puntualizza Giovanna Guidetti, titolare della Osteria della Fefa. Anche la storica locanda, vero e proprio milieu artistico oltre che gastronomico, amata da scrittori e scenografi come Emanuele Luzzati, ha stuccato le crepe e riaperto perché, commenta l’ostessa, «qui è passata la storia e la storia deve continuare».

fonte: ultimoranotizie.it