TERREMOTI: L’IMPREVEDIBILITÀ DELLE FAGLIE “LENTE”

Questa pista di atletica intersecava la faglia che ha dato origine al terremoto di Taiwan del 1999

Questa pista di atletica intersecava la faglia che ha dato origine al terremoto di Taiwan del 1999.

Anche le faglie in lento scivolamento, finora considerate sostanzialmente stabili, possono dar origine a eventi sismici molto forti, come è avvenuto per la faglia di Tohoku-Oki, all’origine del terremoto giapponese del 2011. Sismi che avvengono in regioni vicine possono infatti alterare il comportamento delle masse rocciose che formano la faglia.

da Le Scienze – Alcuni aspetti degli attuali modelli di genesi dei terremoti sono inadeguati, e forti terremoti potrebbero verificarsi anche in zone attualmente ritenute a basso rischio di eventi sismici. E’ la conclusione a cui sono giunti Hiroyuki Noda, dell’Institute for Research on Earth Evolution a Yokohama, e Nadia Lapusta del California Institute of Technology, a Pasadena, sulla scorta dell’analisi di due forti terremoti che sono avvenuti dove non lo si aspettava: il terremoto giapponese di Tohoku-Oki del 2011 (che ha dato origine allo tsunami che ha devastato Fukushima), e il terremoto di Chi-Chi, che ha scosso Taiwan nel 1999.

Come spiegano i due ricercatori in un articolo su “Nature”, le faglie vengono suddivise in due tipi: quelle considerate sostanzialmente stabili, in cui si osserva un lento scivolamento (creeping) fra le masse rocciose che la formano, in genere nell’ordine dei pochi millimetri all’anno; e le faglie che rimangono bloccate per anni, accumulando progressivamente un’enorme energia, che viene poi rilasciata improvvisamente, provocando i terremoti.

La faglia di Tohoku-Oki era una tipica faglia in cui si osservavano lenti scivolamenti e quindi non avrebbe dovuto dar luogo a terremoti significativi: tanto meno a un terremoto di magnitudo 9 con un improvviso spostamento delle masse rocciose di ben 50 metri. Lo stesso vale per il terremoto di Chi-chi, che ha avuto origine dalla faglia in scivolamento di Chelungpu, e che ha provocato un terremoto di magnitudo 7,6, con uno spostamento delle masse rocciose di 9 metri.


Per spiegare queste incongruenze, Noda e Lapusta hanno sviluppato una serie di modelli in cui hanno preso in considerazione anche la tipologia delle rocce presenti nelle aree di faglia e la loro risposta reologica, ossia il loro comportamento più o meno plastico o fragile, a eventi sismici che avvengono in aree limitrofe. Si è così scoperto che in diverse situazioni gli effetti di questi terremoti più o meno lontani possono modificare significativamente lo stato della faglia in scivolamento.

Alla luce di questi risultati, osservano i ricercatori, è necessario procedere a una revisione delle zone a rischio, a partire dalla California, dove finora si è pensato che una sezione della faglia di San Andreas, caratterizzata da un lento scivolamento, potesse fare da barriera alla propagazione delle tensioni e impedire lo scatenarsi di un grande terremoto capace di interessare tutto lo stato.

Per capire se un segmento di faglia in lento scivolamento possa causare improvvisamente eventi sismici significativi, concludono Noda e Lapusta, bisogna quindi valutare se è suscettibile di un “indebolimento” a causa di altre sollecitazioni sismiche. Questa verifica è possibile attraverso studi paleosismici che cerchino prove dell’esistenza di improvvisi rapidi spostamenti in un passato anche lontano. Dato però che non sempre è possibile condurre simili ricerche, in molti casi bisognerà affidarsi a nuovi modelli del comportamento dei diversi materiali rocciosi, modelli da sviluppare con ricerche sperimentali che riproducano in modo realistico le condizioni di temperatura e pressione in cui si trovano le rocce delle diverse faglie.

fonte: Le Scienze